Carlo Grandini, amatissimo socio e noto giornalista sportivo presso alcune delle più note testate italiane, ci ha regalato una serata piacevolissima ed interessante raccontandoci, in spirito di amicizia e familiarità, alcuni aneddoti della sua esperienza di giornalista legati a momenti particolari della sua carriera.
Non si è trattato di una vera e propria relazione, né di una disquisizione critica, come lo stesso Carlo ha tenuto a precisare.
Tuttavia le spigolature e gli episodi offertici, frutto di una attenta cernita che nulla ha lasciato al caso, attraversando 55 anni di giornalismo, hanno acceso i riflettori su due mondi diversi e su quelle differenze che rappresentano il frutto della evoluzione dei costumi negli ultimi 50 anni.
Il racconto di Carlo, difficile da sintetizzare dato la tecnica narrativa tipicamente giornalistica ed avvincente, viene qui riportato anche in forma di diretta nel tentativo di non perdere quel carattere di immediatezza che ci ha catturati lungo tutto il racconto.
L’arrivo al Corriere
Il 4 luglio 1966 Gino Palumbo, allora a capo del Servizio sportivo del Corriere della Sera, mi chiamò perché entrassi nella sua squadra.
Ero molto giovane, forse troppo per pensare di avere un incarico così prestigioso in una testata così prestigiosa.
Provenivo da Tuttosport dove avevo fatto i primi passi significativi nel mondo del giornalismo sportivo.
Ero molto teso ed emozionato.
Tra l’altra il caldo e l’afa erano insopportabili ed io sudavo come una spugna.
Naturalmente, all’epoca, al Corriere ci si doveva presentare in giacca e cravatta: indipendentemente dal clima.
C’era allora l’usanza secondo la quale il Capo servizio accompagnava la matricola in un tour presso tutti i servizi e lo presentava così ai suoi nuovi colleghi.
Attraversammo così tutto il Corriere: la cronaca, l’economia, gli esteri, gli interni e tutti gli altri servizi.
Alla fine arrivammo alla Sala Albertini, cioè alla Direzione.
L’atmosfera era diversa da quella degli altri uffici che avevamo appena visitato.
Gino Palumbo entra e mi porta con sé.
Mi trovo così davanti a Buzzati, Di Bella ed Alfio Russo, all’epoca Direttore del Corriere.
Dopo avermi salutato e scrutato Alfio Russo si rivolge a Palumbo dicendo: “Gino, se il picciotto che mi hai portato sbaglia, paghi tu.”
Per fortuna Palumbo non ha dovuto pagare nulla!
Ecco come era il giornalismo di 50 anni fa.
Oggi una matricola entra al Corriere in golf e maglietta e si siede al suo posto senza che nessuno, o quasi, sappia chi è e di cosa si sta occupando.
Il mondo del calcio negli anni Sessanta
Nel 1962 l’Italia vinse il Campionato del mondo di calcio in Cile.
La Germania aveva presentato un giovane giocatore molto promettente: Helmut Haller che purtroppo è scomparso proprio oggi.
Dopo qualche tempo viene ingaggiato da Renato Dallara, storico ed indimenticabile Presidente del Bologna Calcio.
Una volta, viaggiando insieme in automobile, Dallara ed Haller ebbero un terribile incidente da cui però, fortunatamente, uscirono entrambi indenni.
Rientrati a Bologna Dallara indisse una conferenza stampa a cui partecipai.
L’esordio di Dallara fu il seguente: “Sine qua non – Siamo qua noi” suscitando l’entusiasmo e l’ilarità di tutti i presenti.
Proseguì poi informando i presenti: “Ho chiamato Padre Marella (Padre e amico dei poveri nella Bologna dello scorso secolo NDR) ci ho messo in mano 10.000 lire e ci ho detto: Lei vada a Loureds e si diverti!”.
Un piccolo episodio, questo, che sintetizza e riflette l’enorme differenza tra il mondo del calcio di oggi e quello di quegli anni.
Un incontro con Gianni Agnelli
Avevo già incontrato Gianni Agnelli in altre occasioni e quella volta mi aveva dato appuntamento in Viale Marconi a Torino, negli uffici della FIAT.
Lo intervisto e parliamo a lungo.
Al termine nel salutarlo lo ringrazio per la sua cortesia e lui mi risponde: Sono io che ringrazio Lei, anzi vorrei chiederLe un favore.”
Naturalmente lo prego di non esitare e l’Avvocato mi dice: “Ora Lei scenderà di qua. Vede quel bar laggiù? Bene si fermi lì e prenda un aperitivo. Io La invidio molto perché io non posso farlo anche se ne avrei una gran voglia.”
Gli risposi che avrei esaudito volentieri il suo desiderio ma tra me e me pensai: “Sapesse come La invidio io Avvocato.”
Un incontro con Enzo Ferrari
In un’altra occasione incontrai Enzo Ferrari a Maranello.
Arrivai con la mia Peugeot che all’epoca guidavo.
Ferrari appena mi vide sbottò: ”Cosa fa con quella macchina?”
Gli spiegai che era la mia macchina e che non ci vedevo nulla di male. Ci spostammo poi a Fiorano dove la Ferrari ha i suoi circuiti di prova.
Era anche la “tana” di Enzo Ferrari. Lui non partecipava mai di persona ai Gran Premi ma li guardava sempre da Fiorano.
Arrivati là Ferrai mi chiede: “Grandini la vede quella macchina lì?”.
“Certo Ingegnere è una Dino.”
“Bene: provi mo a fare un giro.”
Parto, do un colpetto all’acceleratore e vengo schiacciato contro il sedile, ingrano la seconda ed accade lo stesso.
Decido di percorrere tutta la pista in seconda.
All’arrivo Ferrari mi viene incontro ed esclama: “I miei piloti girano in 1 minuto e mezzo, Lei ci ha messo quasi 5 minuti!”.
“Già Ingegnere” risposi “ma la Sua macchina questa volta è ancora intera…”
E mi portò a pranzo al Cavallino.
L’arrivo al Giornale
Montanelli mi chiamò alla direzione del Giornale per fondare la redazione sportiva.
L’offerta era molto interessante.
L’handicap era che il Giornale non usciva il lunedì, cioè il giorno dopo le partite di calcio!
Accettai l’offerta.
Incontrai Piovene, Zappulli e tanti altri papaveri del giornalismo.
Quando vidi Montanelli mi venne incontro e mi disse: “Benvenuto Cesarino!”.
Un giorno presi coraggi e gli chiesi il perché di questo soprannome che non comprendevo e mi rispose: “Perché Cesarone è Zappulli e tu sei Cesarino.”
Tutto qua.
Ero diventato piuttosto bravo nelle imitazioni di Montanelli ed approfittavo degli spostamenti in ascensore per esibirmi.
Quando Montanelli lo venne a sapere mi chiamò e mi disse: “Ho saputo che mi imiti.”
In un attimo pensai e dissi: “Va beh Indro, ma lo faccio solo in ascensore!”.
Lui ne fu entusiasta! Con grande scorno dei suoi detrattori.
Il lato umano di Montanelli
Un giorno mia moglie mi chiama perché era mancato mio padre.
Io ero in redazione e decisi di terminare il mio pezzo prima di allontanarmi dal giornale.
Terminata la bozza salgo da Indro per commentarla insieme e lui mi disse che era stato informato della notizia, chiedendomi cosa facessi ancora lì al lavoro.
Risposi che avevo preferito terminare il mio lavoro e che sarei quindi andato via di lì a poco.
Avvicinatosi Montanelli mi mise una mano sulla spalla e mi disse: “Ora vai a Ferrara, sulla tomba di tuo padre. E quando torni sappi che qui ne hai un altro.”
Dio benedica la sua memoria!
I commenti e gli interventi che si sono succeduti hanno posto fine alla piacevolissima serata.
A cura di Massimo Audisio