La storia

Il club nasce nel 1967 e nel 2012 festeggia i primi 45 anni di storia. La ricostruzione delle vicende di un quarto di secolo di vita associativa presenta sempre delle difficoltà: come quella, veramente improba, di setacciare tutti i documenti ufficiali, a partire dai bollettini settimanali. Il problema, particolarmente vivo per le prime e più lontane vicende del club, si era già posto allo scadere del ventesimo anniversario e fu risolto allora da uno dei soci fondatori, l’indimenticabile Gian Paolo Guidobono Cavalchini, in modo così brillante da indurci a riprendere la sua allocuzione di allora, limitandoci a integrarla con le cronache dell’ultimo quinquennio. Così facendo, siamo certi che, oltre a riproporre una gustosa ricostruzione dei fatti, svolta in prima persona da un gentiluomo che li ha vissuti con grande sensibilità e con sottile senso di humour, renderemo edotti il cortese lettore dello spirito di lieta amicizia che ha sempre animato e distinto il “Nord-Ovest”. Così, dunque, il nostro indimenticabile Gianpaolo:
 
I preparativi dell’evento

“Voi tutti avete posato gli occhi sopra il primo numero del Bollettino d’informazione ai soci del Rotary Club di Bollate, datato 28 gennaio 1967. Il Bollettino è stato conservato e ritrovato dalla diligenza del socio fondatore Luciano Bianchi che ne ha gentilmente diffuso fra noi le copie. Non so che impressione ne abbiano tratto coloro che sono entrati a far parte successivamente del nostro club, ma per me, e con me credo anche per gli altri soci fondatori superstiti, la lettura di
questo foglio, che sarei tentato di chiamare ‘storico documento’, è stato causa di intense sensazioni, sulle quali prevalgono la curiosità e la tenerezza. Curiosità di vedere chi eravamo allora e come eravamo. Tenerezza di rivedere alla nascita una propria creatura, ora cresciuta e adulta. (...)
Ho parlato di nostra ‘creatura’, ma l’espressione non è esatta, in quanto non noi soci fondatori abbiamo creato il club, ma a crearlo è stato soltanto Franco Macchi del Sette. Già fin dal 1965 si hanno le prime avvisaglie di questa paziente fatica di cucitura che Franco iniziò alla distanza per la nascita del nuovo club. Uno dei primi ad essere interpellati, ritengo di essere stato proprio io, un po’ per essere unico notaio in Bollate, un po’ perché collega di studio di Marco Reschigna, legato a Franco da vecchia amicizia. Me lo vedevo capitare in studio, in via Serbelloni, e sentivo da lui discorsi che mi apparivano strani; lo stavo ad ascoltare senza capire gran che, preso da perplessità e da un briciolo di diffidenza, disinformato com’ero di cultura rotariana. Passavano lunghi periodi senza che si facesse vedere, poi ricompariva e riprendeva i suoi discorsi, che io recepivo senza troppa convinzione.


I primi passi


Mi riferiva però che l’orditura prendeva consistenza, e, improvvisamente, rotti gli indugi, ecco arrivare la convocazione: il 26 gennaio 1967, ore 13, ci trovammo per la prima volta al Circolo San Carlo, in Bollate, davanti al Municipio. Il locale non era gran che, per non dire che era molto squallido: un grande tavolo ellissoidale al centro della sala; servivano sempre come antipasto del salame già affettato di tipo crespone cremonese; l’ambiente decisamente non accogliente. Il freddo salone del “San Carlo” fu per lungo tempo l’ossessione del nuovo club, basta leggere i bollettini dei primi mesi di vita. Ma entro le nude pareti del San Carlo si celava un’altra aspirazione che animava il nostro padrino e che divenne in seguito - non neghiamolo - l’aspirazione di tutti; quella cioè di varcare la cinta daziaria e di diventare uno dei clubs della grande Milano. Intanto il nuovo nato cresceva. C’era già un consiglio direttivo, democraticamente nominato dall’alto (eravamo però, onestamente, quattro gatti), di cui facevo parte anch’io come membro: presidente Franco Macchi del Sette, segretario Nelito Priano, che non c’era mai, perché era sempre a sciare, tesoriere Luigi Clivio, prefetto Giovanni Merler. Sul bollettino del 4 marzo 1968 appare l’elenco dei soci: siamo 26!
Il 9 marzo 1967, tappa decisiva nella vita del club: la consegna della Carta d’ammissione. Confesso che allora non capivo bene di che si trattasse; oggi tutto mi è chiaro, ma in quel tempo avevo come termine di riferimento la storia inglese, John Lackland e la Magna Charta Libertatum, sennonché il 1215 mi sembrava troppo lontano per un collegamento. Fu una grande cerimonia: c’erano il governatore del Distretto, Bernardo Fenolio, una quantità di ospiti e invitati; massiccio intervento dei soci dei clubs viciniori, parecchi Past e, naturalmente, tutti noi.
Una settimana dopo, il 16 marzo, si procede con regolari elezioni assembleari alla nomina del consiglio: siamo sempre gli stessi, ma finalmente siamo in regola, e il club funziona. Viene rispettata la consuetudine rotariana di animare le
conviviali con brevi conferenze dei soci: Luciano Bianchi tratta l’argomento “Rondini e Vanoni”, io, in luglio, illustro una delle leggi più inique, la n. 567 del 12.6.1962 (titolo “La prelazione legale nelle alienazioni dei Fondi Rustici”): e così tutti gli altri. Entrano nuovi soci. Ricordo, di questi primi mesi, Guido Oppi Forcesi e Pio Arlotta. Più avanti arriveranno Omar Liberati (non ancora “coscienza del club”), Paolo Ascani Orsini, Enrico D’Anna. E siamo sempre alla Cooperativa San Carlo. La preoccupazione di risolvere il problema affiora continuamente nel Bollettino: direi che è l’unica spina nel fianco in un club che, per tutto il resto, procede felicemente: interclubs, forum, frequenza. Dalla lettura dei Bollettini traspaiono entusiasmo, candore, enfasi, ottimismo. Non lo dico in senso critico: per me sono qualità senza le quali non sarebbe stato possibile far progredire il nostro club nella sua infanzia, fino a farlo giungere al livello attuale, alle lusinghiere dichiarazioni del nostro governatore.


Il fortunato “colpo di mano”


La vita tranquilla dei primi mesi subisce improvvisamente una scossa violenta e significativa, anche se già da tempo era nell’aria. Si tratta di quello che chiamerei ‘il colpo di mano’ con cui venne piazzato ‘l’avamposto del Brambillone’. Il
quale Brambillone è una trattoria in Via Grosseto, dopo il Mac Mahon, in quella che una volta era Villapizzone. La versione ufficiale parlò allora di Villapizzone, località posta fra Bollate e Milano, ma era una bugia, perché si trattava in realtà di territorio milanese. Ormai la nostra marcia era inarrestabile. Intanto il nostro presidente (che tale rimase per il secondo e poi per il terzo esercizio consecutivo) lavorava proficuamente per il balzo definitivo su Milano e per la trasformazione del nostro ‘Bollate’ in un club milanese. La cronaca del nostro Bollettino di questo periodo rispecchia fedelmente il proposito irrevocabile di abbandonare Bollate, sia come sede, sia come denominazione: è tutto un fervore di partecipazione a interclub, inviti, manifestazioni varie, che ci dislocano immancabilmente a Milano con l’inevitabile conseguenza che “la conviviale ordinaria è soppressa”. Il Brambillone ormai ci andava decisamente stretto.
Finalmente il Bollettino pubblica l’invito tanto atteso: “la conviviale del 25 settembre 1969 si terrà in via sperimentale presso l’Hotel Cavalieri in piazza Missori: oratore il sottoscritto; parlerà di ‘Esplorazioni’. E scusatemi se parlo sempre di me, ma il riferimento è inevitabile. Parlai, se ben ricordo, delle mie esperienze alaskane al monte McKinley, la più alta vetta del Nordamerica. Quel termine ‘sperimentale’ era tutto un programma. Intendiamoci, l’esperimento in un certo senso c’era, ma riguardava solo la cucina del ‘Cavalieri’, i prezzi praticati e l’accoglienza. In realtà era una bugia anche questa: lo scopo dissimulato era di entrare senza scosse e senza dar troppo nell’occhio nel consesso milanese. E ci si arrivò abbastanza presto. Nel verbale di consiglio del 13 novembre 1972 si legge la grande notizia, comunicata solennemente dal presidente Duina: dopo laboriose trattative il Rotary International consentiva al club il cambio di denominazione in Milano Nord-Ovest.


Uomini ed eventi


Il tempo scorreva intanto inesorabilmente: gli inverni lasciavano posto alle primavere, gli autunni succedevano alle estati, le montagne si ricoprivano di candide nevi e poi ancora i ghiacci si scioglievano e le acque dei fiumi riprende
vano a scendere verso la pianura padana: e il Nord-Ovest prendeva sempre più consistenza e più forza, prosperava.
Ricordo due delle iniziative più rimarchevoli compiute dal club: il restauro conservativo della Certosa di Garegnano e il riordino dell’Archivio storico-letterario Pisani-Dossi a Corbetta. Dopo tre esercizi consecutivi alla presidenza del club, Franco Macchi del Sette lasciava l’incarico e a lui succedeva Luigi Inverni, tipica figura di self made man, imprenditore di grandi fornaci nell’alto Milanese e titolare di imprese di costruzioni edili. Mantenne la presidenza del club per due anni consecutivi, 1969-70 e 1970-71, lasciando il ricordo della sua capacità, affabilità e cortesia, che sopravvive alla Sua dolorosa scomparsa. Per i tre esercizi successivi (fino al 1974) fu presidente Vittorio Emanuele Duina, big della siderurgia nelle impalcature, tragicamente scomparso in un incidente stradale in Nordamerica.
Con la presidenza successiva interviene un certo mutamento nel criterio di scelta del presidente: non viene più eletto un personaggio già affermato nella vita della città e inserito nel Rotary, ma si indica come candidato un prodotto del vivaio
(se mi si consente l’espressione sportiva). Così è uno dei nostri, Omar Liberati, a reggere le sorti del nostro club per due annate rotariane (1974-75 e 1975-76): e lo ha fatto indubbiamente bene, con rigore prussiano: Non era ancora
assurto a ‘coscienza del club’, come io lo chiamo, ma la sua profonda cultura rotariana, la sua disponibilità ai compiti, la sua dirittura, ne hanno fatto un presidente ineccepibile: Sua la realizzazione dell’iniziativa ‘Il Rotary nella realtà di Milano’, ideata da Oppi Forcesi, che ha procurato al club un più stretto contatto di collaborazione con gli altri clubs cittadini e ha avvicinato tutto il Rotary alla vita economica della grande metropoli lombarda. Dopo di lui, Francesco Moro, banchiere, ma anche lui del vivaio, e a mio avviso un po’ il continuatore del pensiero di Liberati. L’abbiamo purtroppo perso di
forza dopo qualche anno, perché trasferito per lavoro sulle sponde del Lago di Garda e quindi passato al Rotary Club di Lovere, ma non possiamo dimenticare la sua grande disponibilità, che lo portò a ricoprire volontariamente la carica di
segretario durante le presidenze di Luciano Elmo e Guido Oppi Forcesi.
Gli anni 1978-79 e 1979-80 vedono alla presidenza Luciano Elmo, avvocato specializzato in materia fiscale, esponente liberale nel CNL di Milano. Durante il periodo della Resistenza venne rinchiuso a San Vittore. Gentiluomo d’antico
stampo, la sua presidenza fu sempre ispirata alle sue qualità.
Guido Oppi Forcesi fu il presidente successivo: anni 1980-81 e 1981-82. Uomo brillante, di piacevole e interessante conversazione e di facile eloquio, di sobria eleganza e buon gusto, anche lui era uno del vivaio; la sua fu una presidenza di
classe, ma di attento equilibrio. Quando io ero incoming, conversando con lui, mi sorprese una sua risposta: ‘Durante i miei due anni di presidenza mi sono divertito’: realizzai successivamente, quando fu il mio turno di presidente, che
aveva ragione. A questo punto mi sembra doveroso spiegare perché io vada raccontando vita, pregi e difetti dei vari presidenti: sono convinto che la personalità del presidente influisca in modo determinante sulle caratteristiche del club durante l’annata rotariana. Dopo Oppi Forcesi i turni di presidenza diventano annuali. Ed eccoci a Carlo Croci, presidente per il 1982-83: commercialista milanese, è un tipico esempio di quella validissima schiera di professionisti che ebbero un ruolo così importante nello sviluppo della laboriosa e fiorente realtà economica di Milano. Per lui non esistono problemi insolubili, le difficoltà non lo spaventano, lo stimolano. Alla lucidità mentale si accompagnano una grande esperienza professionale
e un’astuzia non comune. Queste qualità ha saputo infondere nella sua conduzione del club. Dimenticavo la sua passione per l’equitazione.
1983-84: Uberto Tedeschi, ferrarese, uno dei numerosi ingegneri del club. Il suo lavoro lo ha portato nei Paesi più lontani e sconosciuti del mondo intero. Durante la sua presidenza confesso che mi sono più volte stupito di vederlo solerte
e diligente al suo posto di numero uno del club, anziché fra le montagne del Waccam o nelle foreste etiopiche. Con invidiabile calma, equilibrio e pacatezza ha guidato il club fra il consenso dei suoi soci. Ed eccoci a Mario Poli, presidente per l’annata 1984-85, uno dei personaggi più popolari del nostro club per la sua simpatia, signorilità, arguzia, vivacità mentale. Ingegnere, non ci ha mai oppresso con formule o regole, ma ha trasmesso il suo carattere sorridente alla sua gestione del club. Io ho coniato per lui l’epiteto ‘pacioso’ e penso che gli si attagli alla perfezione. Profondo conoscitore
delle procedure rotariane, ha tenuto il suo posto con fermezza e con decisioni sagge e tempestive. E sì che di grane ne ha avute parecchie - i soci ricordano bene il Notaio di Maracaibo; ha sempre difeso strenuamente e con passione gli interessi del club. (...)
Il 1985-86 è l’annata della mia presidenza: meglio non parlarne. Certo che i soci hanno commesso una grossa imprudenza a eleggermi presidente. Mi si permetta di dire una cosa soltanto: in un club da sempre molto affiatato mi vanto di
aver attivato fra i soci un clima di vera amicizia, di simpatia reciproca, di solidarietà, di piacere di stare fra noi, di preferire a tutto la nostra compagnia. Ricordo le giornate sulle piste del Monte Bianco, quelle di Pesaro, ospiti di Mario Poli.
A me è succeduto Franco Coffano (1986-87) ingegnere idraulico, alto funzionario del comprensorio Villoresi, docente universitario. Tortonese come me e grande amico di tutti noi. Aveva in precedenza rivestito la carica di segretario in più legislature, acquisendo grande esperienza e profonda conoscenza dell’ambiente rotariano milanese; in più ha sempre avuto notevoli relazioni nelle alte sfere politiche: tutti atouts che gli hanno consentito di svolgere il suo mandato con piena responsabilità e con equilibrio.
E siamo infine giunti al presidente in carica...”


Gli ultimi cinque anni


Purtroppo la scomparsa di Gianpaolo Guidobono Cavalchini impedisce di dare continuazione alla storia del club con la stessa penna brillante e divertente. Seguitiamo perciò la rassegna dei presidenti.
Alla presidenza di Franco Coffano succede quella di Bruno Reschigna Venturini (1987-88), ingegnere, con alle spalle una vita di dirigente in grandi società, che ha portato nella sua presidenza tutta la sua capacità di meticoloso, perfetto
organizzatore. Una particolare attenzione è stata da lui dedicata ai problemi della formazione e dell’orientamento dei giovani.
Roberto Pontremoli, presidente per l’anno 1988-89, si è vivacemente impegnato sui temi dell’attualità, della cultura, della spiritualità. Amministratore delegato di una importante compagnia di assicurazioni, ha dato vita a una serie organica di
conferenze dai significativi titoli “Come cambia l’Italia” e “A che punto siamo?” volte a fare il punto sui problemi più scottanti del nostro Paese.
Diverso il tono della presidenza di Federico Borelli (1989-1990), a conferma del giudizio di Guidobono Cavalchini sull’impronta individuale di ciascuna presidenza. Ingegnere e imprenditore, specializzato nelle costruzioni nel sottosuolo,
Federico ha manifestato, forse per la legge del contrappasso, una solare tendenza alla gioia dello stare insieme. Il suo piglio un po’ scanzonato e goliardico porta nel club una ventata di allegria e di camaraderie. Peraltro vara le borse di studio “Aldo Spirito” di cui si dirà più oltre. A Federico succede Umberto Catalano (1990-91), ex Questore di Milano, uomo anche di svariati interessi culturali, con particolare riguardo ai problemi dei giovani e al Rotaract. Il suo trasferimento a Genova gli impedisce di dare alla sua presenza la necessaria assiduità, e di fatto, allo scadere della sua presidenza, rassegna le dimissioni e lascia il club.
Ed è la volta (1991-92) del presidente in carica, Giuseppe Garone, cui tocca la celebrazione del venticinquesimo anniversario del nostro club. Ingegnere e imprenditore, uomo di gioviale bonomia, capace di creare simpatia e amicizia col suo eloquio semplice e diretto, ha dato al primo semestre della sua presidenza un taglio vivace, aperto a temi svariati, il cui interesse è testimoniato dall’aumento delle serali e degli “interclub”. Come si vede, pur nella stimolante diversità degli stili e degli interessi, il club manifesta una sua personalità, basata sul vivo spirito di amicizia, sulla partecipazione sentita alle iniziative e alle tradizioni che si sono venute affermando con l’acquisizione di molte delle innovazioni via via introdotte nella gestione del club. Fra le tante consuetudini che hanno dato un tono alla vita associativa (e che sarebbe arduo elencare compiutamente) basti qui richiamarne due: il prezioso vademecum con gli indirizzi dei soci che ogni anno è stampato e distribuito a cura di Luciano Dell’Orto e la norma di affidare al presidente incoming la redazione del Bollettino settimanale per l’anno in corso: ottimo allenamento a entrare per tempo nel vivo dei problemi e della vita del club. Di qui la continuità di iniziative di ampio respiro, che coinvolgono più presidenti in una ideale staffetta e i soci in una solidale collaborazione. Di qui anche quello “spirito di corpo” che è oggetto di aperto apprezzamento e forse anche di malcelata ammirazione da parte di altri club rotariani.